C’è fermento in federazione dopo l’opposizione del governo al decreto crescita per il calcio. La politica ha voltato le spalle al sistema calcio e in molti invocano al populismo sfrenato della maggioranza.
Fatto sta che la politica, probabilmente, ha fatto una scelta eccessiva ma al tempo stesso ha messo davanti agli occhi di tutti le problematiche, finora nascoste, del sistema calcio, finora cullatosi tra spot elettorali e un indebitamento massiccio.
Gravina, ieri, ha convocato d’urgenza i presidenti di Serie A. Il numero uno del sistema calcio, dopo anni di promesse, sembra intenzionato a far sul serio in tema di riforme, valutando una trasformazione complessa dei campionati da effettuare entro il 2030. La Serie A e la Serie B passeranno da 20 a 18 formazioni mentre la Serie C passerà, dalle attuali 60 a un girone unico da 18 squadre. Queste le indiscrezioni che, se confermate, aprirebbero a una svolta. Di conseguenza, verrà riformato anche l’assetto dei dilettanti con il ripristino del cosiddetto semi-professionismo (ex Serie C2).
Il punto è che ieri, in Figc, si è mostrata la netta frattura tra grandi e piccoli club con i primi, ovviamente, interessanti alla trasformazione del sistema calcio. Il summit però, aveva un solo obiettivo: compattare tutti verso l’11 marzo, giorno in cui si voterà per l’abolizione del diritto di veto in seno alle singole leghe.
In passato, il diritto di veto è servito per tutelare gli interessi delle più piccole ma con gli anni, e soprattutto con le strampalate riforme dei campionati, si è dato maggior attenzione al peso elettorale che all’effettivo beneficio dell’interno sistema.