L’ultimo report Istat fotografa un calo sul piano nazionale del 3,4 per cento su base annuale. Percentuali che aumentano vertiginosamente nei territori interni, in primis nel Meridione. Nella sola Irpinia, negli ultimi 24 anni siamo ad una flessione del 40 per cento destinata ad incrementare. Peggio della provincia di Avellino solo il Sannio. Fra qualche anno sarà il deserto
Puntuale, di questi tempi, arriva ogni anno il rapporto Istat sulla natalità a ricordarci che se il calo demografico attraversa l’intero Paese – tra il 2022 e il 2023 si registra un calo del 3,4% – nelle aree interne della Campania assistiamo ormai impotenti ad un’agonia irreversibile. Nella sola provincia di Avellino, dal 1999 al 2023, i numeri dei nuovi nati su base annuale si è quasi dimezzato. Parliamo del 40 per cento, un dato destinato ad incrementare nell’anno in corso. Volendo restringere il campo all’ultimo decennio, osserviamo un trend vertiginoso: in Irpinia, nel 2014, si contavano 3.140 nuovi nati. Nel 2023 solo 2.583. Peggio della provincia di Avellino è messo solo il Sannio, dove i nati nel 2023 sono stati 1687 contro i 1792 dell’anno precedente. Il tasso di natalità nazionale è di 6,8 nati ogni mille abitanti. In Irpinia è di 6,5 di mentre in provincia di Benevento scende a 6,3. Napoli segna l’8,1, Caserta 7,9, Salerno 7,3. Tra il polpo e l’osso, dunque, una distanza siderale. Un quadro a tinte fosche che si spiega solo in minima parte con la spontanea decisione di non avere figli da parte delle giovani coppie. A pesare in maniera determinante è il calo dimensionale quanto il progressivo invecchiamento della popolazione femminile nella fascia d’età considerata riproduttiva, dai 15 ai 49 anni, posto che in Italia un individuo su quattro ha più di 65 anni. Incidono in maniera determinante anche i bassi livelli salariali, un welfare sempre più anemico, la mancanza di sicurezza e di fiducia nel futuro. Lo stesso futuro che i giovani dei territori marginali cercano altrove. La flessione del numero di abitanti, secondo Istat, è destinata inevitabilmente a proseguire e ad intensificarsi negli anni a venire, con conseguenze devastanti sulla sostenibilità, già pregiudicata da tempo, dei servizi legati all’istruzione, al sociale, alla sanità, alla cultura e allo sport. E manco a dirlo sono in primo luogo i piccoli piccolissimi comuni, che rappresentano la grande maggioranza delle municipalità delle aree interne, a soffrire di più. Nei paesi inferiori ai 550 abitanti si registra un calo medio della popolazione dell11,6 per cento, in quelli tra 500 e mille una flessione del 9 per cento, mentre tra i mille e i tremila la flessione è del 7 per cento. Numeri impietosi che non lasciano scampo e che smontano la retorica del turismo, del rilancio infrastrutturale, l’intero vocabolario a cui la politica puntualmente ricorre, di campagna elettorale in campagna elettorale